In vista della Giornata Internazionale per l’Aborto Sicuro del 28 settembre Medici del Mondo ha presentato oggi, presso la Camera dei deputati, il suo terzo report annuale dedicato alla situazione dell’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG) in Italia, quest’anno intitolato “ABORTO SENZA NUMERI - L’assenza di dati come politica di deterrenza e causa di disuguaglianza”. La presentazione ha visto gli interventi di Elisa Visconti, Direttrice di Medici del Mondo Italia, Chiara Lalli, bioeticista e consigliera generale dell’Associazione Luca Coscioni, Federica di Martino (@IVGstobenissimo), Psicoterapeuta e Attivista, e Gilda Sportiello del Movimento 5 Stelle, con la moderazione di Claudia Torrisi, giornalista e co-autrice del report.

Il documento affronta un nodo cruciale e strutturale: la mancanza di informazioni chiare, aggiornate e accessibili sull’IVG nel nostro Paese. Un ostacolo silenzioso ma determinante per l’effettiva fruizione di questo diritto fondamentale, esercitato da oltre 65.000 donne nel solo 2022. Nonostante l’aborto sia un diritto garantito dalla legge 194/1978 e incluso nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), chi desidera farvi ricorso si trova infatti di fronte ad un vuoto informativo che compromette la possibilità di compiere scelte consapevoli e tempestive sulla propria salute. E il problema non è solo delle utenti: i dati sono infatti anche uno strumento politico per capire dove c’è un problema.
IL VUOTO INFORMATIVO. Sapere è potere: potere di intervenire dove necessario e potere di agire in modo consapevole. Entrambi fortemente limitati quando si parla di accesso all’IVG, come emerge dal nuovo report di Medici del Mondo che porta alla luce un problema tanto invisibile quanto strutturale: l’assenza di dati di qualità, ovvero di informazioni affidabili, aggiornate e accessibili, sull’aborto in Italia.
Per legge, il Ministero della Salute è obbligato a presentare ogni anno al Parlamento, entro il mese di febbraio, una relazione sull’attuazione della legge 194 e sull’accesso all’IVG. Tuttavia, in oltre 40 anni questa scadenza non è mai stata rispettata, e le relazioni vengono pubblicate con mesi di ritardo, con dati già superati, incompleti e non aperti. La relazione del 2024, ad esempio, è stata resa pubblica a dicembre, con quasi un anno di ritardo e riferita a dati del 2022.
Il motivo? Un processo di raccolta dati disomogeneo e, spesso, politicamente condizionato. Le Regioni, infatti, raccolgono le informazioni dai presidi sanitari (ospedali, case di cura, ambulatori, consultori) e trasmettono i dati all’Istat e all’Istituto Superiore di Sanità (ISS), che li verificano, li lavorano e li inviano quindi al Ministero per la redazione della relazione annuale. Ma non sono informazioni complete: i dati sull’obiezione di coscienza sono raccolti separatamente dal Ministero della Salute e non vengono disaggregati né per struttura né per provincia. Anche il monitoraggio dei LEA si dimostra lacunoso: gli indicatori per l’IVG, oltre ad essere deboli e poco efficaci per monitorare la qualità dei servizi abortivi, non rientrano tra i 22 Core utilizzati per la valutazione dell’erogazione dei LEA, ossia non sono considerati dal Ministero della Salute per monitorare l'adempimento delle Regioni.
La qualità del dato risulta pertanto compromessa, in termini di puntualità (i dati disponibili hanno spesso 2 o 3 anni di ritardo) ed esaustività, dato che l’aggregazione a livello regionale rende impossibile monitorare la reale distribuzione territoriale dei servizi, con le loro modalità e tempistiche, valutare l’impatto dell’obiezione o l’applicazione delle linee guida ministeriali, e soprattutto informare correttamente l’utenza.
LE MAPPE DELLA SITUAZIONE. A colmare parzialmente questo vuoto, le mappature indipendenti dei servizi IVG in Italia realizzate negli ultimi anni a partire dal basso che segnalano strutture attive, percentuali di obiezione, tempi di attesa e qualità percepita del servizio, con l’obiettivo comune di supplire a una mancanza istituzionale che ostacola l’accesso a un diritto fondamentale. Tra queste il progetto “Mai Dati” delle giornaliste Sonia Montegiove e Chiara Lalli che hanno ricostruito una mappa attraverso centinaia di richieste di accesso civico alle informazioni di Regioni e ASL. Nonostante la risposta desolante (molte Regioni non hanno fornito i dati, o li hanno trasmessi in formati inaccessibili o aggregati in modo tale da renderli inutili, o hanno addotto motivazioni legate alla privacy dei medici obiettori per non fornire i dati per struttura), la mappa, tuttora in aggiornamento, è online con i primi dati dall’accesso civico effettuato nel 2024. Nella mappa di Obiezione Respinta, invece, emergono aspetti, esclusi dalle rilevazioni ufficiali, relativi alla qualità del servizio, attraverso le esperienze delle persone che abortiscono. Mentre Laiga (Libera Associazione Italiana Ginecologi non obiettori per l’Applicazione della 194/78) ha pubblicato una mappa degli ospedali italiani che offrono il servizio di IVG. Ma passi avanti, seppur piccoli, ci sono: quest’anno ha infatti visto la luce la prima mappa interattiva nazionale dei punti IVG, che indica le strutture attive e i metodi disponibili (chirurgico o farmacologico), frutto di un progetto del Ministero della Salute coordinato dall’ISS. Un passo importante, ma ancora insufficiente: la mappa è pubblicata sul sito dell’ISS e non su quello del Ministero o delle Regioni, è ferma al 2023 e dovrebbe venire aggiornata solo annualmente, non consente ricerche geografiche avanzate, non è in formato aperto, non riporta i livelli di obiezione e non permette un vero confronto tra strutture.
Mancano quindi mappe istituzionali dettagliate e aggiornate costantemente, per orientare verso una prestazione sanitaria in cui il fattore tempo è determinante. Come ricorda l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’accesso a informazioni accurate, aggiornate e scientificamente validate è il primo passo per garantire l’accesso a servizi abortivi sicuri. Eppure, in Italia, questa condizione è tutt’altro che soddisfatta. E il fatto che il Ministero non reputi necessario effettuare interventi correttivi rispetto a Regioni che non seguono le linee di indirizzo ministeriali, che non adempiono agli obblighi previsti dai LEA e che, pur avendo a disposizione i dati, non ritengono utile renderli fruibili, denotano come l’inadeguata disponibilità di informazioni sia un problema politico, più che tecnico.
«Senza accesso a informazioni chiare il diritto alla salute e il diritto alla scelta restano solo sulla carta. Il nostro report mostra chiaramente che in Italia mancano dati aggiornati, completi e disaggregati sull’IVG, e che le informazioni che dovrebbero orientare le persone e guidare le politiche pubbliche sono vecchie, frammentarie, difficili da reperire. Nonostante l’IVG rientri nei LEA, la relazione annuale del Ministero della Salute sembra ormai una formalità, priva di reale capacità di monitoraggio o impulso al miglioramento. E va detto con chiarezza: la filiera di raccolta dei dati sull’aborto non è affatto più complessa rispetto a quella di altri dati sanitari che le Regioni e le strutture raccolgono quotidianamente. Non esistono ostacoli tecnici specifici. E quando anche le richieste ufficiali di accesso ai dati vengono ignorate o rifiutate, è evidente che siamo davanti ad una precisa volontà politica di non fornire le informazioni in modo tempestivo, disaggregato, aperto e fruibile. Con conseguenze gravi e concrete: si creano disuguaglianze nell’accesso a un diritto fondamentale, quello di decidere sul proprio corpo, di tutelare la propria salute fisica e mentale, di ricevere cure appropriate in ambienti sicuri e accoglienti, senza subire discriminazioni. L’OMS è chiara: garantire informazioni accurate è il primo passo per garantire aborti sicuri. In Italia, purtroppo, siamo ancora molto lontani da questo obiettivo» commenta Elisa Visconti, Direttrice di Medici del Mondo Italia.