11.12.2025 News

Cisgiordania: i danni psicologici dell'occupazione israeliana sui rifugiati palestinesi

L'occupazione militare israeliana nei campi profughi palestinesi sta devastando la salute mentale della popolazione rifugiata. Lo denuncia il nostro report.

In Cisgiordania, la violenza militare, gli sfollamenti forzati e la distruzione della vita collettiva hanno scatenato una grave crisi che va ben oltre ciò che è visibile. La salute mentale è profondamente compromessa: la vita quotidiana è caratterizzata da una successione di perdite, paure, dolori e rotture che lasciano segni difficili da misurare ma impossibili da ignorare.

Dall'inizio del 2025, più di 44.000 persone sono state espulse dalle loro case a seguito di una crescente offensiva, creando la più grande ondata di espulsioni dal 1967. Sebbene i numeri parlino da soli, dietro ogni cifra ci sono famiglie separate, ricordi abbandonati e costante. Cosa succede quando una comunità vive tra raid, bombardamenti e restrizioni? Cosa ne è della salute mentale di coloro che non solo perdono la loro casa, ma anche il loro senso di sicurezza, stabilità e appartenenza?

Il nostro rapporto, redatto tra il 2024 e il 2025 in vari campi profughi, documenta gli effetti psicologici dell'occupazione israeliana sui rifugiati palestinesi in Cisgiordania. Basato su dati clinici e testimonianze, evidenzia profondi modelli di trauma psicologico che trascendono le generazioni e colpiscono sia gli adulti che i bambini. L'analisi include valutazioni, registrazioni di sintomi ricorrenti e osservazioni longitudinali che aiutano a identificare le tendenze nello sviluppo del trauma in condizioni di stress estremo.

Violenza costante e sfollamento: effetti sulla salute mentale dei palestinesi

Nei campi profughi di Jenin, Tulkarem e Nur Shams, la vita quotidiana è diventata una mera questione di sopravvivenza a causa delle operazioni militari derivanti dalla presenza militare israeliana.

Le incursioni avvengono senza preavviso e sono continue. Bombardamenti, distruzione delle infrastrutture, interruzioni dei servizi di base... Come si può ricostruire una casa quando non c'è alcuna garanzia che domani sarà ancora in piedi? Gli esperti di salute mentale osservano che questo tipo di esposizione intermittente ma cronica genera cicli di ipervigilanza, un sintomo comune tra coloro che subiscono violenze in Cisgiordania.

La violenza non solo costringe le famiglie ad abbandonare le loro case, ma le mantiene anche in uno stato di allerta costante, un meccanismo psicologico che, se protratto nel tempo, porta a un evidente esaurimento emotivo. Le cifre sono impressionanti: il 96% delle persone da noi assistite riferisce che l'occupazione interferisce con la loro vita quotidiana e il 98% mostra gravi segni di disagio. Ciò dimostra un rapido deterioramento della salute mentale dei rifugiati palestinesi.

Traumi psicologici in Palestina: danni ingenti e trasmissione generazionale

I danni psicologici documentati dai nostri team sono ingenti e profondi.

Secondo i dati raccolti durante le visite psicosociali di follow-up, il 70% delle persone presentava sintomi quali disperazione, stress cronico, disturbi psicosomatici o impotenza appresa. E il 74% aveva subito più episodi di violenza in soli quattro mesi. Questi dati rivelano un modello di esposizione continua al trauma psicologico che impedisce il naturale recupero emotivo.

In questo contesto, sorge una domanda fondamentale: come può una comunità guarire quando non c'è sicurezza, stabilità o tempo per elaborare il trauma, e soprattutto quando la minaccia continua? La presenza militare non solo causa danni immediati, ma erode anche le condizioni necessarie per la guarigione psicologica. L'impossibilità di sentirsi al sicuro, la minaccia costante e la perdita della famiglia e della casa trasformano il trauma in un circolo vizioso difficile da spezzare.

Questo circolo vizioso ha anche una componente generazionale: le esperienze passate si intrecciano con l'anticipazione di danni futuri, generando una paura esistenziale che mette in pericolo l'identità collettiva palestinese e perpetua il trauma intergenerazionale.

I bambini sono i più vulnerabili in questo scenario. Molti subiscono regressioni, ansia grave o maturità emotiva accelerata, costretti a “crescere troppo presto”. Le loro case e le loro scuole, spazi che dovrebbero essere sicuri, vengono invasi o distrutti, eliminando ogni rifugio fisico e psicologico.

Occupazione israeliana: un modello sistematico di danno emotivo

Il rapporto conclude che le sofferenze causate dall'occupazione israeliana rientrano nei criteri di tortura psicologica secondo gli standard delle Nazioni Unite.

La combinazione di aggressioni, sfollamenti forzati, distruzione degli ambienti di vita e mancanza di protezione crea un tormento continuo che impedisce alle persone di vivere con dignità. Questo perché:

  • Non esiste un luogo sicuro dove riposare.
  • Non esiste stabilità per ricostruire.
  • Non c'è tempo per elaborare il trauma subito.

Tutto ciò compromette gravemente qualsiasi meccanismo di resilienza che le persone possano avere.

In questo contesto, le nostre raccomandazioni si concentrano sul ripristino delle condizioni minime di dignità e protezione:

  • Garantire la fine dell'occupazione in conformità con il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia.
  • Porre fine alle pratiche che possono costituire tortura psicologica.
  • Ripristinare l'accesso all'assistenza sanitaria mentale e umanitaria in Palestina.
  • Proteggere il mandato dell'UNRWA.
  • Revocare le restrizioni alla circolazione che impediscono l'accesso ai diritti fondamentali.

È possibile il recupero psicologico senza giustizia, libertà e garanzie di non ripetizione? Il rapporto afferma chiaramente di no.

Verso la ripresa: salute mentale, diritti umani e futuro in Palestina

La situazione in Cisgiordania non è solo una crisi umanitaria, ma anche una crisi emotiva e psicologica su larga scala. La violenza militare israeliana in Cisgiordania distrugge le famiglie e la capacità delle persone di vivere senza paura, di immaginare un futuro o di proteggersi dai danni psicologici e dai traumi. Le conclusioni tecniche del rapporto indicano che, senza un ambiente sicuro e la fine dell'occupazione israeliana, qualsiasi intervento di salute mentale in Cisgiordania avrà un impatto limitato.

Il recupero psicologico del popolo palestinese sarà possibile solo con la fine dell'occupazione, il rispetto dei diritti umani e l'accesso garantito all'assistenza sanitaria, compresi gli interventi di salute mentale.