Un tasso di obiezione al 66,6%, procedure farmacologiche in aumento (dal 53% del totale nel 2023 al 64% nel 2024), e una rete consultoriale tra le più limitate d’Italia. Sono solo alcuni dei dati sull’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG) in Veneto, raccontata nel terzo report annuale dedicato all’aborto in Italia. Intitolato “ABORTO SENZA NUMERI - L’assenza di dati come politica di deterrenza e causa di disuguaglianza”, il documento affronta un nodo cruciale e strutturale: il blackout informativo che alimenta le disuguaglianze e ostacola l’accesso a un diritto garantito dalla legge (la194 del 1978), esercitato da oltre 65.000 donne in Italia, di cui circa 4.300 in Veneto, nel solo 2022. Nonostante l’aborto sia anche incluso nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), chi desidera farvi ricorso si trova infatti di fronte ad un vuoto informativo che compromette la possibilità di compiere scelte consapevoli e tempestive sulla propria salute. E il problema non è solo delle utenti: i dati sono uno strumento politico per capire dove c’è un problema.
Ne è un chiarissimo esempio il Veneto, unica regione italiana a fornire sul proprio portale istituzionale dati aggiornati sull’IVG fino all’anno precedente, inclusi quelli sull’obiezione di coscienza, suddivisi per singola struttura. Pur non essendo dati in formato aperto e machine readable, possono essere utilizzati, come ha fatto Sandro Kensan, che ha creato sul suo sito una mappa online che consente di individuare per ogni ospedale il numero di ginecologi e ginecologhe, la percentuale di obiettori e obiettrici, la disponibilità dell’IVG farmacologica e chirurgica, i tempi di accesso e i contatti diretti dei reparti.
Dai dati forniti dalla Regione, risulta che un terzo di ginecologi e ginecologhe ha dichiarato obiezione di coscienza, con picchi all’86% in alcune AULSS (come Venezia) e minimi al 35% (come nella Pedemontana), e che aumenta il personale medico non obiettore (+29%, da 153 a 198), anche se con una distribuzione irregolare che condiziona l’accesso ai servizi abortivi.
Aumentano anche le IVG farmacologiche, arrivate al 64% nel 2024 (erano il 53% nel 2023), ma non sono disponibili in tutti gli ospedali. Inoltre, il Veneto non ha ancora adottato le linee guida per lasomministrazione della RU486 nei consultori, e non esiste un dibattito politico attivo sul tema. Del resto, la rete consultoriale veneta è tra le più limitate d’Italia. Secondo la relazione del Ministero della Salute, nel 2022 il Veneto contava 104 sedi, una ogni 50.000 residenti (contro lo standard minimo di 1 ogni 20.000), con intere province totalmente sguarnite. Nel 2024, secondo il sito regionale, i consultori pubblici sono scesi a 102. La media nazionale di accesso ai consultori familiari è del 43,9%. In Veneto vi si rivolge solo l’1,9% della popolazione, e si registra una carenza cronica di personale. Risultato? Un circolo vizioso: i consultori vengono poco usati perché non sono un servizio capillare ed efficace, così, anziché potenziarli, vengono chiusi. In questo contesto, spicca l’iniziativa del nodo padovano del movimento Non Una di Meno che a marzo 2024 ha occupato un ex consultorio abbandonato nel quartiere Sacra Famiglia di Padova, chiuso da circa cinque anni. Per dieci mesi è diventato una “Consultoria” autogestita, dove si organizzavano assemblee, incontri e uno sportello di orientamento sull’aborto: una risposta concreta alle persone che vi si sono rivolte perché non sapevano dove andare o cosa fare, dato che i consultori sono aperti pochissime ore e gli ospedali rispondono dopo decine di chiamate. Lo sportello è tuttora attivo, principalmente via telefono, dopo lo sgombero dello spazio a dicembre 2024, e Nudm Padova ha anche realizzato una guida per l’aborto in città. Obiettivo: superare il primo ostacolo, quello informativo.