01.12.2025 Salute sessuale e riproduttiva

HIV: un’emergenza sanitaria risolta?

L'HIV è non è un'emergenza finita. Tra progressi scientifici e disuguaglianze globali, milioni di persone restano senza cure e diritti.

Per molti, l’HIV appartiene al passato. Una malattia simbolo degli anni Ottanta e Novanta, protagonista di campagne di sensibilizzazione, paure collettive e svolte nella medicina. Oggi, grazie ai progressi scientifici, l’infezione da HIV è spesso raccontata come una patologia cronica gestibile, grazie a terapie efficaci e diagnosi sempre più rapide.

Effettivamente, da un punto di vista clinico, la risposta globale ha fatto enormi passi avanti: milioni di persone ricevono farmaci salvavita e la mortalità è diminuita in molte regioni.

Ma questo non significa che l’emergenza sia finita.

Secondo i dati ufficiali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, di UNAIDS e dell’UNICEF, nel mondo decine di milioni di persone convivono ancora con l’HIV, oltre un milione contrae ogni anno il virus e centinaia di migliaia muoiono per cause correlate all’AIDS. La medicina ha fatto la sua parte, ma la distribuzione dei progressi non è uguale ovunque.

Dove i sistemi sanitari funzionano, l’HIV può essere controllato. Dove invece esistono guerre, povertà, instabilità politica e discriminazione, l’accesso alle cure resta limitato. L’HIV oggi non è soltanto una questione medica, ma il riflesso delle disuguaglianze globali.

Colpisce soprattutto le persone più vulnerabili: donne e ragazze, bambini, persone migranti, rifugiati, comunità LGBTQIA+, lavoratori del sesso, detenuti. Laddove i diritti sono fragili, anche la salute lo è.

È in questi contesti che opera Medici del Mondo, nelle aree del pianeta in cui l’HIV non è una “malattia del passato”, ma una realtà quotidiana intrecciata a precarietà, fame, mancanza d’acqua e assenza di servizi sanitari.

Alla luce dei dati ufficiali, una domanda resta centrale:
l’HIV è davvero un’emergenza risolta o stiamo semplicemente convivendo con nuove forme di disuguaglianza sanitaria?

Africa subsahariana: il peso maggiore, ma anche i maggiori progressi

L’Africa subsahariana resta la regione più colpita: qui vive oltre metà delle persone sieropositive al mondo. Secondo la WHO, nel 2024 si registrano circa 26 milioni di casi.

Negli ultimi due decenni qui sono stati raggiunti anche i risultati più significativi nell’accesso alle cure. Tuttavia, persistono gravi difficoltà legate alla diagnosi nei bambini, alla fragilità dei servizi sanitari e alla dipendenza dai fondi internazionali.

Il problema centrale resta la prevenzione. Stigma e disinformazione impediscono una diffusione efficace delle misure protettive. Donne e adolescenti hanno spesso scarso controllo sulle proprie scelte sanitarie.

Qui l’HIV continua ad avere il volto dell’emarginazione: senza cliniche, senza farmaci, senza personale medico, la gestione della malattia è una sfida quotidiana.

Africa occidentale e centrale: l’emergenza invisibile dei bambini

Nonostante la riduzione globale delle nuove infezioni, i bambini e gli adolescenti restano duramente colpiti: nel 2024 ogni giorno circa 712 bambini sono risultati nuovi casi di HIV e circa 250 bambini/adolescenti sono morti per cause legate all’AIDS.

La copertura del trattamento antiretrovirale tra i bambini sotto i 15 anni è solo del 55%, segnalando un bisogno urgente di interventi mirati — testing perinatale, terapie pediatriche e continuità di cura — che molte ONG, incluso Medici del Mondo, sostengono nelle aree in cui operano.

Asia meridionale e Sud-Est asiatico: una crisi silenziosa

Nell’Asia meridionale e nel Sud-Est asiatico, circa 6,9 milioni di persone convivono con l’HIV. Ogni anno si registrano circa 300.000 nuove infezioni, un numero che — pur in diminuzione rispetto al 2010 — resta rilevante.

Qui l’HIV è una crisi senza rumore, lontana dai riflettori ma reale ogni giorno.

America Centrale e Sud America: migrazioni e disuguaglianze urbane

In America Latina, l’infezione è concentrata nelle periferie urbane e lungo le rotte migratorie.

Chi fugge da povertà e violenza spesso perde accesso alle cure: attraversare un confine può interrompere una terapia salvavita.

Le crisi economiche hanno indebolito molti sistemi sanitari, rendendo più difficile l’accesso a test e farmaci. La discriminazione, a sua volta, allontana le persone dai servizi pubblici.

Europa e Asia centrale: nuove infezioni e vecchi pregiudizi

In Europa si osservano tendenze eterogenee: mentre alcuni Paesi hanno ottimi indicatori di diagnosi e cura, altre aree, inclusa l’Asia centrale, mostrano un aumento delle nuove infezioni e gap di trattamento (circa 140.000 nuove infezioni stimate nel 2023).

In Italia, nel 2022 sono state notificate 1.888 nuove diagnosi di HIV, pari a un’incidenza di 3,2 casi ogni 100.000 residenti. Nel 2023 i nuovi casi sono aumentati a 2.349, con un’incidenza di 4,0 ogni 100.000 abitanti. La trasmissione avviene prevalentemente per via sessuale (86,3% dei casi).

Un dato particolarmente allarmante riguarda la quota di diagnosi tardive di HIV: complessivamente, nel 2023, il 60% delle nuove diagnosi di HIV in Italia è stato effettuato in fase tardiva (ossia con già presenza di sintomi), un valore superiore alla media dei Paesi dell’Europa Occidentale (46%).

Secondo WHO/ECDC, circa 2,6 milioni di persone vivono con l’HIV nella regione e molte non sono consapevoli del loro stato.

Politiche punitive, stigma sociale e mancanza di prevenzione efficace frenano i progressi. Avere i farmaci non basta se non sono accessibili.

Medio Oriente e Nord Africa: l’area con la crescita più rapida

Qui l’aumento delle nuove infezioni è tra i più allarmanti: quasi raddoppiate dal 2010.

L’HIV è spesso un tabù assoluto. Scarsa informazione, test difficili da ottenere e leggi punitive rendono la malattia un’emergenza invisibile.

Nei contesti di guerra e instabilità, la prevenzione è quasi impossibile.

Perché l’HIV non è un’emergenza risolta

I fattori sono chiari:

  • Milioni di persone non sanno di essere sieropositive.
  • Non tutti ricevono le cure.
  • I bambini sono ancora sottotrattati.
  • Lo stigma scoraggia la diagnosi.
  • I fondi internazionali non sono garantiti.
  • Conflitti e crisi climatiche interrompono i servizi sanitari.

Il ruolo di Medici del Mondo: dove l’intervento fa la differenza

La rete di Medici del Mondo opera in oltre 70 paesi con centinaia di progetti che includono assistenza primaria, programmi per la salute sessuale e riproduttiva, test e counselling, supporto alla continuità terapeutica e servizi rivolti alle popolazioni vulnerabili.

In contesti fragili (campi profughi, aree colpite da conflitti, baraccopoli urbane) l’organizzazione contribuisce a colmare i vuoti nell’accesso ai servizi sanitari, a rafforzare le capacità locali e a promuovere l’inclusione delle persone con HIV nei servizi sanitari. Il collegamento tra i bisogni regionali (emergenti in Medio Oriente, persistenti in Africa, concentrati in grappoli nelle Americhe e in Asia) e l’esperienza operativa di Medici del Mondo è una leva concreta per consolidare i risultati. Scopri cosa facciamo e sostieni i nostri progetti con una donazione.

La risposta esiste, ma servono volontà politica e investimenti

I progressi contro l’HIV sono reali e salvano vite, ma la malattia non è «risolta». Per trasformare i guadagni in vittoria definitiva servono investimenti stabili, politiche non discriminatorie, scalabilità delle buone pratiche (test rapido, accesso universale agli antiretrovirali, servizi per i bambini) e il coinvolgimento delle comunità.

Le attività sul campo di Medici del Mondo rappresentano una componente essenziale di questa risposta — soprattutto nelle aree più fragili — ma senza adeguati finanziamenti nazionali e internazionali il rischio è di perdere terreno. I dati ufficiali dell’OMS, UNAIDS e UNICEF ricordano che la strada è ancora lunga e che l’impegno collettivo è indispensabile per “finire il lavoro”.

Fonti:

  • Report Istituto Superiore di Sanità del novembre 2024.