28 settembre “Giornata Internazionale per l’Aborto Sicuro”
Nel terzo rapporto annuale sull’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG) in Italia, presentato oggi alla Camera dei deputati, il Veneto si distingue per essere l’unica regione italiana a fornire dati e aggiornati sull’aborto in Regione, ma sconta un grave indebolimento della sanità territoriale, con pochi consultori, personale sottorganico e centralizzazione della RU486 a livello ospedaliero.
Materiali stampa, testimonianze, immagini e video sono disponibili su Google Drive.
23 settembre 2025 – Un tasso di obiezione al 66,6%, procedure farmacologiche in aumento (dal 53% del totale nel 2023 al 64% nel 2024), e una rete consultoriale tra le più limitate d’Italia. Sono solo alcuni dei dati sull’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG) in Veneto, raccontata da Medici del Mondo, rete internazionale impegnata a garantire l’accesso alla salute, nel suo terzo report annuale dedicato all’aborto in Italia. Intitolato “ABORTO SENZA NUMERI - L’assenza di dati come politica di deterrenza e causa di disuguaglianza” e presentato alla Camera dei deputati in vista della Giornata Internazionale per l’Aborto Sicuro del 28 settembre, il documento affronta un nodo cruciale e strutturale: il blackout informativo che alimenta le disuguaglianze e ostacola l’accesso a un diritto garantito dalla legge (la194 del 1978), esercitato da oltre 65.000 donne in Italia, di cui circa 4.300 in Veneto, nel solo 2022. Nonostante l’aborto sia anche incluso nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), chi desidera farvi ricorso si trova infatti di fronte ad un vuoto informativo che compromette la possibilità di compiere scelte consapevoli e tempestive sulla propria salute. E il problema non è solo delle utenti: i dati sono uno strumento politico per capire dove c’è un problema.
Ne è un chiarissimo esempio il Veneto, unica regione italiana a fornire sul proprio portale istituzionale dati aggiornati sull’IVG fino all’anno precedente, inclusi quelli sull’obiezione di coscienza, suddivisi per singola struttura. Pur non essendo dati in formato aperto e machine readable, posso essere utilizzati, come ha fatto Sandro Kensan, che ha creato sul suo sito una mappa online che consente di individuare per ogni ospedale il numero di ginecologi e ginecologhe, la percentuale di obiettori e obiettrici, la disponibilità dell’IVG farmacologica e chirurgica, i tempi di accesso e i contatti diretti dei reparti.
Dai dati forniti dalla Regione, risulta che un terzo di ginecologi e ginecologhe ha dichiarato obiezione di coscienza, con picchi all’86% in alcune AULSS (come Venezia) e minimi al 35% (come nella Pedemontana), e che aumenta il personale medico non obiettore (+29%, da 153 a 198), anche se con una distribuzione irregolare che condiziona l’accesso ai servizi abortivi.
Aumentano anche le IVG farmacologiche, arrivate al 64% nel 2024 (erano il 53% nel 2023), ma non sono disponibili in tutti gli ospedali. Inoltre, il Veneto non ha ancora adottato le linee guida per lasomministrazione della RU486 nei consultori, e non esiste un dibattito politico attivo sul tema. Del resto, la rete consultoriale veneta è tra le più limitate d’Italia. Secondo la relazione del Ministero della Salute, nel 2022 il Veneto contava 104 sedi, una ogni 50.000 residenti (contro lo standard minimo di 1 ogni 20.000), con intere province totalmente sguarnite. Nel 2024, secondo il sito regionale, i consultori pubblici sono scesi a 102. La media nazionale di accesso ai consultori familiari è del 43,9%. In Veneto vi si rivolge solo l’1,9% della popolazione, e si registra una carenza cronica di personale. Risultato? Un circolo vizioso: i consultori vengono poco usati perché non sono un servizio capillare ed efficace, così, anziché potenziarli, vengono chiusi. In questo contesto, spicca l’iniziativa del nodo padovano del movimento Non Una di Meno che a marzo 2024 ha occupato un ex consultorio abbandonato nel quartiere Sacra Famiglia di Padova, chiuso da circa cinque anni. Per dieci mesi è diventato una “Consultoria” autogestita, dove si organizzavano assemblee, incontri e uno sportello di orientamento sull’aborto: una risposta concreta alle persone che vi si sono rivolte perché non sapevano dove andare o cosa fare, dato che i consultori sono aperti pochissime ore e gli ospedali rispondono dopo decine di chiamate. Lo sportello è tuttora attivo, principalmente via telefono, dopo lo sgombero dello spazio a dicembre 2024, e Nudm Padova ha anche realizzato una guida per l’aborto in città. Obiettivo: superare il primo ostacolo, quello informativo.
«Il Veneto dimostra come sia possibile pubblicare dati aggiornati, confermando come la mancanza di dati e informazioni da parte del Ministero e delle Regioni non sia legata ad una difficoltà tecnica ma frutto di una chiara volontà politica. Inoltre, si evidenzia come la presenza di informazioni senza una loro diffusione verso l'utenza rappresenti un ostacolo al pieno godimento di un diritto di salute» commenta Elisa Visconti, Direttrice di Medici del Mondo Italia.
Con questo terzo report, Medici del Mondo continua a far luce sulle criticità legate all’accesso all’aborto in Italia, proseguendo un lavoro di documentazione e denuncia avviato negli anni scorsi. Dopo aver raccontato, nel report 2023 “Aborto farmacologico in Italia: tra ritardi, opposizioni e linee guida internazionali” e nella campagna “The Impossible Pill”, le molteplici barriere – materiali, organizzative e ideologiche – che rendono l’IVG una corsa a ostacoli, e dopo aver denunciato nel 2024 con il report “Aborto a ostacoli. Come le politiche di deterrenza minacciano l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza” l’esistenza di una strategia sistematica di deterrenza istituzionale, Medici del Mondo ha dato voce, con la campagna “The Unheard Voice”, alle esperienze dirette delle donne che hanno subito violenza psicologica, rivelando per la prima volta cosa accade realmente dentro le strutture sanitarie italiane.
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Chi è Medici del Mondo. Medici del Mondo (MdM) è una rete internazionale impegnata a garantire l’accesso alla salute alle persone più vulnerabili, denunciare le ingiustizie di cui sono vittime e promuovere il cambiamento sociale. Oggi gestisce circa 400 progetti in oltre 70 Paesi del mondo, così come attività di advocacy sia a livello europeo che internazionale. Nel 2020 nasce MdM Italia che, tra le varie aree di intervento, si occupa di salute sessuale e riproduttiva e ribadisce con forza che l’aborto è un diritto umano e un pilastro fondamentale dell’uguaglianza di genere. MdM ritiene che l’aborto libero e sicuro sia un’emergenza di salute pubblica, considerando che ogni anno nel mondo 39.000 donne muoiono a causa di interruzioni di gravidanza realizzate in condizioni non sicure. Per questo MdM si impegna a fare pressione presso le istituzioni perché l’aborto sia un vero diritto in ogni Paese.
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| ABORTO: QUALCHE NUMERO L'aborto non sicuro è una delle principali cause di mortalità materna a livello internazionale. Dei circa 121 milioni di gravidanze indesiderate che si verificano ogni anno nel mondo, il 60% si conclude con un aborto. Di questi, il 45% avviene in condizioni non sicure, a causa dell'accesso limitato al servizio. L’OMS stima 39.000 decessi all’anno e 7 milioni di persone costrette all’ospedalizzazione. Inoltre, come rileva lo studio Turnaway - l'analisi sull’interruzione di gravidanza condotta da Advancing New Standards in Reproductive Health (ANSIRH) presso l'Università della California, San Francisco -, le difficoltà nell'accesso all'aborto e la negazione di questo diritto fondamentale hanno importanti ripercussioni sulla salute mentale: al contrario, le donne che hanno interrotto una gravidanza indesiderata, nella maggior parte dei casi, non provano rimpianto, dolore né tantomeno disturbo da stress post-traumatico, ma sollievo, con ben il 99% delle donne che ha dichiarato che l'interruzione di gravidanza è stata la decisione giusta. L’Italia, purtroppo, si ritrova ancora molto indietro rispetto agli altri Paesi europei. Una delle questioni più rilevanti è l’obiezione di coscienza. Secondo il Ministero della Salute, nel 2022 in Italia si è dichiarato obiettore il 60,7% dei ginecologi e delle ginecologhe (con picchi del 90,9% in Molise, 81,5% in Sicilia e 79,2% in Basilicata), il 37,2% degli anestesisti e delle anestesiste e il 32,1% del personale non medico. In Italia effettuano IVG solo il 61,1% delle strutture con reparto di ostetricia e ginecologia (nel 2020 erano il 63,8%), con forti differenze tra le regioni. Sono disponibili 2,9 punti IVG ogni 100.000 donne in età fertile, con i valori più bassi in Campania (1,6), Molise e nella provincia autonoma di Bolzano (1,8). La fotografia del Ministero, però, non è esaustiva. Dalla mappatura del 2022 del progetto Mai Dati, era ad esempio emerso che almeno 31 strutture sanitarie (24 ospedali e 7 consultori) presentavano il 100% di obiettori di coscienza per figure mediche (ginecologhe/i, anestesiste/i) e infermieristiche. Quasi 50 le strutture con una percentuale superiore al 90% e oltre 80 con un tasso di obiezione superiore all’80%. Altro sintomo di una rete sanitaria non adeguata a garantire l’accesso a cure abortive è il numero di Consultori Familiari, primo punto di accesso e informazione per indirizzare nel percorso per l’IVG, istituiti 50 anni fa con la legge 405/1975. Nel 2022 i consultori pubblici risultano scesi in numero assoluto rispetto al 2021 da 1871 a 1819. Siamo lontani dalla proporzione di 1 ogni 20 mila abitanti raccomandata dalla legge: la media nazionale è di 0,6 ogni 20mila abitanti (ossia 1 consultorio ogni 33.000 abitanti circa). E quando presenti, le carenze di personale ne consentono l’apertura solo in alcuni orari e giorni della settimana. Nonostante le difficoltà i consultori rimangono un presidio fondamentale nell’accesso ai servizi per l’IVG. Secondo l’ultima relazione annuale del Ministero della Salute presentata alla fine del 2024 e relativa ai dati del 2022, la percentuale maggiore di certificati per l’IVG sono stati rilasciati dai consultori familiari (43,9%), seguiti dai servizi ostetrico-ginecologici dei presidi sanitari (34,3%) e dal/dalla medico/a di fiducia (19,6%). La situazione non è comunque uniforme in tutto il Paese. La percentuale di rilascio dei documenti nei consultori sale nella Provincia Autonoma di Trento (76,6%) e in Emilia-Romagna (72,9%), Marche (66,3%), Piemonte (62,5%) e Umbria (61,4%). Le percentuali sono più basse nell’Italia meridionale (29,1%) ed insulare (19,2%). Nel 2022 i consultori familiari che hanno dichiarato di effettuare counselling per l’IVG e di rilasciare certificati corrispondono al 76,6% del totale (l’anno prima erano il 68,4%). Secondo la relazione del Ministero della Salute, in Italia nel 2022 il 74,3% delle IVG sono state considerate non urgenti, costringendo più di 48.000 persone ad attendere 7 giorni dal rilascio del certificato. Aumenta il tempo di attesa tra rilascio del certificato e procedura: il 77,7% (vs 78,4% del 2021) attende fino a 14 giorni, il 13,8% (vs 13,2%) tra i 15 e i 21 giorni e il 5% (vs 4,6%) tra i 22 e i 28 giorni. L’89,9% delle procedure è stato effettuato in un istituto di cura pubblico, mentre solo il 5,6% è stato effettuato presso un ambulatorio pubblico e solo lo 0,6% presso un consultorio. In base ai dati del Ministero della Salute pubblicati nel 2024, in Italia nel 2022 solo il 52% delle IVG sono state effettuate con la procedura farmacologica, contro il 79% di Francia, l’86% dell’Inghilterra e il 90% dei Paesi Scandinavi. Al momento solo tre regioni (Emilia-Romagna, Toscana e Lazio) prevedono la somministrazione della RU486 nei consultori, come previsto dalle linee di indirizzo ministeriali del 2020. Il progetto dell’ISS ha poi confermato che il ricorso alla RU486 è fortemente disomogeneo sul territorio nazionale: nel 2023, la Provincia Autonoma di Trento e le Regioni Emilia-Romagna, Piemonte, Basilicata, Calabria, Liguria, Molise hanno offerto l’aborto farmacologico tra il 72% e l’82%, mentre in Veneto, Sardegna, Abruzzo, Campania, P.A. Bolzano, Lombardia, Sicilia e Marche la proporzione era inferiore al 49%. Nello stesso anno l’accesso alla RU486 negli ambulatori e nei consultori familiari aveva riguardato il 6,6% del totale delle IVG, ed era stata offerta solo in Toscana, Lazio ed Emilia-Romagna. Oltre che meno invasivo, il metodo farmacologico comporterebbe un grosso risparmio per la sanità: secondo le stime dell’Associazione Luca Coscioni, considerando i rimborsi che la Regione dà alle varie aziende sanitarie e alle varie strutture per le diverse procedure, in media il rimborso per una IVG chirurgica è di circa 1.100 euro, mentre per quella farmacologica con il ricovero è di circa 209 euro ad accesso (418 euro in totale, considerato che gli accessi devono essere almeno due). Per quella farmacologica in regime ambulatoriale è di 36 euro a farmaco, quindi circa 72 euro per le due pillole. |