28 settembre “Giornata Internazionale per l’Aborto Sicuro”
Nel terzo rapporto annuale sull’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG) in Italia, presentato oggi alla Camera dei deputati, il focus sull’Isola evidenzia gravi criticità informative, accessi diseguali e un ricorso eccessivo a pratiche chirurgiche invasive. Ma ci sono anche segnali positivi sul fronte dell’IVG farmacologica, con la Regione impegnata sulla deospedalizzazione.
Materiali stampa, testimonianze, immagini e video sono disponibili su Google Drive.
23 settembre 2025 – Quando si parla di Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG), la Sardegna rappresenta un caso emblematico di come l’assenza di informazioni trasparenti, aggiornate e disaggregate comprometta l’accesso a un diritto fondamentale. Ma, se da un lato il quadro sanitario appare frammentato e opaco, dall’altro emergono segnali incoraggianti sul fronte dell’aborto farmacologico e un impegno istituzionale a livello regionale.
È questa la fotografia dell’Isola scattata da Medici del Mondo, rete internazionale impegnata a garantire l’accesso alla salute, che, in vista della Giornata Internazionale per l’Aborto Sicuro del 28 settembre, ha pubblicato il suo terzo report annuale dedicato all’aborto in Italia, quest’anno intitolato “ABORTO SENZA NUMERI - L’assenza di dati come politica di deterrenza e causa di disuguaglianza”. Il documento affronta un nodo cruciale e strutturale: il blackout informativo che alimenta le disuguaglianze e ostacola l’accesso a un diritto garantito dalla legge (la194 del 1978), esercitato da oltre 65.000 donne in Italia, di cui circa 1.300 in Sardegna, nel solo 2022. Nonostante l’aborto sia anche incluso nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), chi desidera farvi ricorso si trova infatti di fronte ad un vuoto informativo che compromette la possibilità di compiere scelte consapevoli e tempestive sulla propria salute.
Il problema non è solo delle utenti: i dati sono uno strumento politico per capire dove c’è un problema. E la Sardegna, a cui Medici del Mondo, con Molise e Veneto, dedica un focus all’interno del suo report di quest’anno, si rivela un emblema dell’inadeguatezza informativa, ma anche un chiaro esempio di come l’informazione sia imprescindibile per poter migliorare la situazione.
L’inadeguatezza informativa emerge già a partire dalle basi, perché, tra dati vecchi e parziali, risulta difficoltoso avere un quadro dei servizi abortivi offerti in Regione. Nel 2024, in risposta a una richiesta di accesso civico presentata dalle giornaliste Sonia Montegiove e Chiara Lalli per la loro mappatura nazionale “Mai Dati”, la Regione Sardegna ha fornito dati risalenti al 2022, suddivisi per Asl e non per singola struttura, e, in molti casi, aggregati in modo da renderne difficile la lettura e l’interpretazione. Questa opacità informativa ha spinto anche il consigliere regionale di maggioranza Valdo Di Nolfo a chiedere alla Regione il quadro completo “con tutti i dati che permettano una corretta lettura della situazione in Sardegna”. Ed ecco che alla fine sono arrivati i dati aggiornati al 2023: su 183 ginecologi e ginecologhe in servizio in Sardegna, ben 100 (il 54,6%) sono obiettori/obiettrici di coscienza. Una percentuale in calo rispetto ai dati precedenti (61,5%), ma ancora elevata in un contesto in cui l’accesso all’IVG è fortemente legato alla presenza di personale non obiettore.
Secondo l’indagine condotta dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) con il progetto CCM 2022, in Sardegna solo 14 reparti di ginecologia-ostetricia su 22 (ovvero il 63,6%) offrono il servizio IVG. L’82,5% delle IVG sull’isola avviene entro 14 giorni dalla richiesta (l’11,7% tra i 15 e i 21), ma in alcune aree l’accesso ai servizi abortivi è estremamente difficile: nell’ex provincia del Sud Sardegna oltre il 71% delle persone che ha richiesto un aborto ha dovuto spostarsi in un’altra zona, nella provincia di Oristano il 53%, in quella di Nuoro il 39%. Nel percorso IVG la rete dei consultori familiari rimane poco coinvolta. In Sardegna i consultori attivi erano 63 nel 2022 e sono saliti a 69 nel 2024, pari a uno ogni 25.000 abitanti (ancora al di sotto dello standard minimo di uno ogni 20.000). Secondo l’ISS, nel 2022 il 71,4% dei consultori sardi offriva un servizio di counseling per l’IVG, ma nello stesso anno soltanto il 16,1% delle certificazioni per l’IVG è stato rilasciato dai consultori, a fronte di una media nazionale del 43,9%.
Un dato particolarmente allarmante riguarda le metodiche utilizzate per l’aborto chirurgico. Nel 2022, in Sardegna il 20,9% delle IVG è stato effettuato tramite raschiamento, una procedura più invasiva e rischiosa rispetto agli standard raccomandati: un dato ben superiore alla media nazionale del 7,2% e dovuto a carenze di aggiornamento professionale e indisponibilità di strumenti secondo le valutazioni dell’ISS, che si è confrontato con i professionisti dei punti IVG sardi per individuare e risolvere le cause dell’eccessivo ricorso al raschiamento.
Parallelamente cresce il ricorso all’IVG farmacologica, che, secondo i dati trasmessi a Medici del Mondo dalla Regione, nel 2024 ha toccato quota 67,6%, dopo il 44,8% registrato nel 2023. Ma la situazione è fortemente disomogenea, passando dall’88,7% della quota di IVG effettuate all’Ospedale di Alghero a tre punti IVG in cui non è ancora disponibile. Il dato è ancora più critico se si considera che la Sardegna è una delle quattro regioni italiane con il più alto tasso di IVG in strutture private convenzionate (12% contro una media nazionale del 3,8%), e che le due cliniche private che effettuano IVG sull’isola non praticano l’aborto farmacologico.
Senza contare che la deospedalizzazione non è ancora realtà, ma qualcosa si muove: a luglio scorso la Giunta Regionale, su proposta dell’Assessore alla Sanità Armando Bartolazzi, ha istituito un tavolo tecnico per l’attuazione delle linee guida ministeriali sull’aborto farmacologico in ambito ambulatoriale e consultoriale. Il tavolo, composto da personale tecnico e sanitario, dovrà elaborare protocolli per l’erogazione dell’IVG farmacologica anche al di fuori degli ospedali, in regime di day hospital o con assunzione domiciliare del secondo farmaco, laddove le strutture siano collegate a presidi ospedalieri autorizzati. Senza dubbio un importante passo avanti, ma senza trasparenza informativa e investimenti nei consultori, l’accesso a questo servizio rischia di rimanere un privilegio per poche.
«In Sardegna mancano dati trasparenti e servizi omogenei: in alcune aree oltre la metà delle persone deve spostarsi per abortire e il ricorso al raschiamento resta tre volte superiore alla media nazionale. Cresce l’IVG farmacologica, ma senza consultori potenziati e informazioni accessibili il diritto all’aborto sicuro resta un privilegio per poche persone» commenta Elisa Visconti, Direttrice di Medici del Mondo Italia.
Con questo terzo report, Medici del Mondo continua a far luce sulle criticità legate all’accesso all’aborto in Italia, proseguendo un lavoro di documentazione e denuncia avviato negli anni scorsi. Dopo aver raccontato, nel report 2023 “Aborto farmacologico in Italia: tra ritardi, opposizioni e linee guida internazionali” e nella campagna “The Impossible Pill”, le molteplici barriere – materiali, organizzative e ideologiche – che rendono l’IVG una corsa a ostacoli, e dopo aver denunciato nel 2024 con il report “Aborto a ostacoli. Come le politiche di deterrenza minacciano l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza” l’esistenza di una strategia sistematica di deterrenza istituzionale, Medici del Mondo ha dato voce, con la campagna “The Unheard Voice”, alle esperienze dirette delle donne che hanno subito violenza psicologica, rivelando per la prima volta cosa accade realmente dentro le strutture sanitarie italiane.
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Chi è Medici del Mondo. Medici del Mondo (MdM) è una rete internazionale impegnata a garantire l’accesso alla salute alle persone più vulnerabili, denunciare le ingiustizie di cui sono vittime e promuovere il cambiamento sociale. Oggi gestisce circa 400 progetti in oltre 70 Paesi del mondo, così come attività di advocacy sia a livello europeo che internazionale. Nel 2020 nasce MdM Italia che, tra le varie aree di intervento, si occupa di salute sessuale e riproduttiva e ribadisce con forza che l’aborto è un diritto umano e un pilastro fondamentale dell’uguaglianza di genere. MdM ritiene che l’aborto libero e sicuro sia un’emergenza di salute pubblica, considerando che ogni anno nel mondo 39.000 donne muoiono a causa di interruzioni di gravidanza realizzate in condizioni non sicure. Per questo MdM si impegna a fare pressione presso le istituzioni perché l’aborto sia un vero diritto in ogni Paese.
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| ABORTO: QUALCHE NUMERO L'aborto non sicuro è una delle principali cause di mortalità materna a livello internazionale. Dei circa 121 milioni di gravidanze indesiderate che si verificano ogni anno nel mondo, il 60% si conclude con un aborto. Di questi, il 45% avviene in condizioni non sicure, a causa dell'accesso limitato al servizio. L’OMS stima 39.000 decessi all’anno e 7 milioni di persone costrette all’ospedalizzazione. Inoltre, come rileva lo studio Turnaway - l'analisi sull’interruzione di gravidanza condotta da Advancing New Standards in Reproductive Health (ANSIRH) presso l'Università della California, San Francisco -, le difficoltà nell'accesso all'aborto e la negazione di questo diritto fondamentale hanno importanti ripercussioni sulla salute mentale: al contrario, le donne che hanno interrotto una gravidanza indesiderata, nella maggior parte dei casi, non provano rimpianto, dolore né tantomeno disturbo da stress post-traumatico, ma sollievo, con ben il 99% delle donne che ha dichiarato che l'interruzione di gravidanza è stata la decisione giusta. L’Italia, purtroppo, si ritrova ancora molto indietro rispetto agli altri Paesi europei. Una delle questioni più rilevanti è l’obiezione di coscienza. Secondo il Ministero della Salute, nel 2022 in Italia si è dichiarato obiettore il 60,7% dei ginecologi e delle ginecologhe (con picchi del 90,9% in Molise, 81,5% in Sicilia e 79,2% in Basilicata), il 37,2% degli anestesisti e delle anestesiste e il 32,1% del personale non medico. In Italia effettuano IVG solo il 61,1% delle strutture con reparto di ostetricia e ginecologia (nel 2020 erano il 63,8%), con forti differenze tra le regioni. Sono disponibili 2,9 punti IVG ogni 100.000 donne in età fertile, con i valori più bassi in Campania (1,6), Molise e nella provincia autonoma di Bolzano (1,8). La fotografia del Ministero, però, non è esaustiva. Dalla mappatura del 2022 del progetto Mai Dati, era ad esempio emerso che almeno 31 strutture sanitarie (24 ospedali e 7 consultori) presentavano il 100% di obiettori di coscienza per figure mediche (ginecologhe/i, anestesiste/i) e infermieristiche. Quasi 50 le strutture con una percentuale superiore al 90% e oltre 80 con un tasso di obiezione superiore all’80%. Altro sintomo di una rete sanitaria non adeguata a garantire l’accesso a cure abortive è il numero di Consultori Familiari, primo punto di accesso e informazione per indirizzare nel percorso per l’IVG, istituiti 50 anni fa con la legge 405/1975. Nel 2022 i consultori pubblici risultano scesi in numero assoluto rispetto al 2021 da 1871 a 1819. Siamo lontani dalla proporzione di 1 ogni 20 mila abitanti raccomandata dalla legge: la media nazionale è di 0,6 ogni 20mila abitanti (ossia 1 consultorio ogni 33.000 abitanti circa). E quando presenti, le carenze di personale ne consentono l’apertura solo in alcuni orari e giorni della settimana. Nonostante le difficoltà i consultori rimangono un presidio fondamentale nell’accesso ai servizi per l’IVG. Secondo l’ultima relazione annuale del Ministero della Salute presentata alla fine del 2024 e relativa ai dati del 2022, la percentuale maggiore di certificati per l’IVG sono stati rilasciati dai consultori familiari (43,9%), seguiti dai servizi ostetrico-ginecologici dei presidi sanitari (34,3%) e dal/dalla medico/a di fiducia (19,6%). La situazione non è comunque uniforme in tutto il Paese. La percentuale di rilascio dei documenti nei consultori sale nella Provincia Autonoma di Trento (76,6%) e in Emilia-Romagna (72,9%), Marche (66,3%), Piemonte (62,5%) e Umbria (61,4%). Le percentuali sono più basse nell’Italia meridionale (29,1%) ed insulare (19,2%). Nel 2022 i consultori familiari che hanno dichiarato di effettuare counselling per l’IVG e di rilasciare certificati corrispondono al 76,6% del totale (l’anno prima erano il 68,4%). Secondo la relazione del Ministero della Salute, in Italia nel 2022 il 74,3% delle IVG sono state considerate non urgenti, costringendo più di 48.000 persone ad attendere 7 giorni dal rilascio del certificato. Aumenta il tempo di attesa tra rilascio del certificato e procedura: il 77,7% (vs 78,4% del 2021) attende fino a 14 giorni, il 13,8% (vs 13,2%) tra i 15 e i 21 giorni e il 5% (vs 4,6%) tra i 22 e i 28 giorni. L’89,9% delle procedure è stato effettuato in un istituto di cura pubblico, mentre solo il 5,6% è stato effettuato presso un ambulatorio pubblico e solo lo 0,6% presso un consultorio. In base ai dati del Ministero della Salute pubblicati nel 2024, in Italia nel 2022 solo il 52% delle IVG sono state effettuate con la procedura farmacologica, contro il 79% di Francia, l’86% dell’Inghilterra e il 90% dei Paesi Scandinavi. Al momento solo tre regioni (Emilia-Romagna, Toscana e Lazio) prevedono la somministrazione della RU486 nei consultori, come previsto dalle linee di indirizzo ministeriali del 2020. Il progetto dell’ISS ha poi confermato che il ricorso alla RU486 è fortemente disomogeneo sul territorio nazionale: nel 2023, la Provincia Autonoma di Trento e le Regioni Emilia-Romagna, Piemonte, Basilicata, Calabria, Liguria, Molise hanno offerto l’aborto farmacologico tra il 72% e l’82%, mentre in Veneto, Sardegna, Abruzzo, Campania, P.A. Bolzano, Lombardia, Sicilia e Marche la proporzione era inferiore al 49%. Nello stesso anno l’accesso alla RU486 negli ambulatori e nei consultori familiari aveva riguardato il 6,6% del totale delle IVG, ed era stata offerta solo in Toscana, Lazio ed Emilia-Romagna. Oltre che meno invasivo, il metodo farmacologico comporterebbe un grosso risparmio per la sanità: secondo le stime dell’Associazione Luca Coscioni, considerando i rimborsi che la Regione dà alle varie aziende sanitarie e alle varie strutture per le diverse procedure, in media il rimborso per una IVG chirurgica è di circa 1.100 euro, mentre per quella farmacologica con il ricovero è di circa 209 euro ad accesso (418 euro in totale, considerato che gli accessi devono essere almeno due). Per quella farmacologica in regime ambulatoriale è di 36 euro a farmaco, quindi circa 72 euro per le due pillole. |